giovedì 29 maggio 2014

Il monopolio del mercato globale (VI° parte): il Fondo Monetario Internazionale o FMI


Il Fondo monetario internazionale (o FMI) fu istituito come parte degli accordi di scambio fatti nel 1944 durante la conferenza di Bretton Woods. 
Durante la grande depressione molti paesi rapidamente innalzarono barriere verso il commercio di prodotti stranieri, nel tentativo di proteggere le proprie economie in difficoltà. Questo comportò la svalutazione delle monete nazionali e un declino del commercio mondiale. Tale rottura della cooperazione monetaria internazionale fece sentire la necessità di una supervisione. 
Le rappresentanze dei 45 governi che si incontrarono nel Mount Washington Hotel nella zona di Bretton Woods, New Hampshire, negli Stati Uniti, si accordarono per una cooperazione economica internazionale. I paesi partecipanti erano coinvolti nella ricostruzione dell'Europa e dell'economia mondiale dopo la seconda guerra mondiale.
Durante la conferenza di Bretton Woods c'erano 2 visioni diverse sul ruolo che il FMI doveva 
assumere come istituzione economica globale: l'economista britannico John Maynard Keynes immaginava che il FMI doveva essere un fondo di cooperazione al quale gli stati membri potevano accedere per mantenere attive le proprie economie e l'impiego durante le crisi periodiche. Questo punto di vista era suggerito dall'azione che aveva intrapreso il governo degli Stati Uniti durante il New Deal in risposta alla grande recessione del 1930; il delegato americano Harry Dexter White immaginava un FMI che agisse più come una banca, facendo in modo che gli stati che venivano finanziati dovessero restituire il loro debito nel tempo.
Il punto di vista degli Stati uniti di America prevalse e impostò le basi su cui sono state gestite le crisi economiche dalla seconda guerra mondiale ad oggi.
Le differenze fra il progetto britannico esposto da John Maynard Keynes e quello statunitense rappresentato da Harry Dexter White riflettono una fondamentale divergenza di interessi. 
Il Regno Unito era preoccupato della forte disoccupazione presente negli anni Venti e Trenta e dal forte indebitamento dovuto a massicce importazioni dei paesi del blocco della sterlina durante la guerra, gli Stati Uniti invece, potevano vantare grossi crediti e gran parte delle riserve auree.


La composizione del FMI

Gli organi principali del FMI ono il "Consiglio dei governatori" (Board of Governors) a composizione plenaria, il "Consiglio esecutivo" (Executive Board), composto dai 24 direttori 
esecutivi (Executive Directors) e il direttore operativo (Managing Director).
Il Consiglio dei governatori si riunisce di norma una volta l'anno e le sue funzioni sono in gran parte delegate al Consiglio esecutivo, che siede permanentemente.
Dei membri del consiglio esecutivo 5 sono permanenti e appartengono ai 5 Stati che detengono la quota maggiore (Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia e Regno Unito) mentre gli altri sono eletti dal Consiglio dei governatori sulla base di un sistema di raggruppamenti di nazioni (non necessariamente su base regionale).
Il direttore operativo viene eletto dal Consiglio esecutivo e lo presiede.
Il FMI dispone di un capitale messo a disposizione dai suoi membri e il voto all'interno dei suoi organi è ponderato a seconda della quota detenuta. Questo fa sì che, considerato che per prendere le decisioni più importanti sono necessarie maggioranze molto alte (i 2/3 o i 3/4 dei voti), gli Stati Uniti e il gruppo dei principali Paesi dell'Unione Europea si trovano ad avere un potere di veto di fatto, presi singolarmente (nel caso della maggioranza dei 3/4) o insieme (maggioranza dei 2/3).


Il FMI oggi

Nella pratica il sistema progettato a Bretton Woods, che si basava su rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte agganciate al dollaro il quale a sua volta era agganciato all'oro, crollò con la sospensione del gold exchange standard (vale a dire la convertibilità del dollaro in oro) da parte di Richard Nixon nel 1971.
Questo ha portato a un ripensamento del ruolo del FMI, che oggi si occupa per lo più di concedere prestiti agli Stati membri in caso di squilibrio della bilancia dei pagamenti
Il FMI si occupa anche della ristrutturazione del debito estero dei paesi del cosiddetto Terzo Mondo. 
Il FMI impone di solito a questi Paesi dei "piani di aggiustamento strutturale" come condizioni per ottenere prestiti o condizioni più favorevoli per il rimborso del debito che costituiscono l'aspetto più controverso della sua attività. 
Questi piani sono infatti modellati su una visione neoliberista dell'economia e sulla convinzione che il libero mercato sia la soluzione migliore per lo sviluppo economico di questi paesi. Dopotutto, la battaglia ideologica in campo economico ha visto una netta vittoria e supremazia della politica neoliberista nella storia, poiché l'alternativa ideologica, che ben si adegua alle prerogative di carattere comunista e statalista, è risultata retrograda e inefficace. Tra i punti principali essi di solito comprendono la svalutazione della moneta nazionale, la riduzione del deficit di bilancio da conseguire con forti tagli alle spese pubbliche e aumento delle imposte (e quindi privatizzazioni massicce), l'eliminazione di qualsiasi forma di controllo dei prezzi.
I maggiori prestiti erogati dal FMI sono stati:
1997: Asia (crisi finanziaria asiatica)
1998: Russia
1998: Brasile (41,5 miliardi di dollari)
2000: Turchia (11 miliardi di dollari)
2001: Argentina (21,6 miliardi di dollari)
2012: Grecia (30 miliardi di dollari)
Negli anni ottanta il Fondo monetario internazionale (assieme alla Banca Mondiale) ha cercato di promuovere l'industrializzazione nell'Africa sub-sahariana, talvolta ottenendo buoni risultati ma spesso fallendo. Infatti in Senegal le politiche neoliberiste di eliminazione dei protezionismi doganali hanno contribuito alla scomparsa di interi settori industriali.


Gli obbiettivi del FMI 

L 'FMI si configura altresì come un Istituto specializzato delle Nazioni Unite (ONU). 
Gli obiettivi dichiarati del FMI sono: 
- promuovere la cooperazione monetaria internazionale; 
- facilitare l'espansione del commercio internazionale; 
- promuovere la stabilità e l'ordine dei rapporti di cambio, evitando svalutazioni competitive; 
- dare fiducia agli Stati membri rendendo disponibili, con adeguate garanzie, le risorse del Fondo per affrontare difficoltà della bilancia dei pagamenti; 
- in relazione con i fini di cui sopra, abbreviare la durata e ridurre la misura degli squilibri delle bilance dei pagamenti degli Stati membri.
Ogni membro (attualmente 185 paesi) può accedere al credito del fondo (SBA ed EFF), in un anno, fino al massimo del 100% delle quote sottoscritte e, cumulativamente, fino al massimo del 300%; l'ammontare dei prestiti può essere elevato in casi eccezionali.  
Il board esecutivo e il board dei governatori del FMI non danno a tutti i Paesi la stessa possibilità di essere rappresentati. 
L’assegnazione del numero dei voti è basata sul sistema “un dollaro un voto”, che quindi antepone la ricchezza alla democrazia. I paesi più ricchi controllano il board esecutivo sia in termini di seggi che di voti, nonostante il Fondo sia quasi completamente impegnato in Paesi a basso e medio reddito. Questo sistema, creato durante il periodo coloniale e controllato dai governi dei Paesi sviluppati, è inadeguato e necessita di essere radicalmente modificato. 


Le critiche al FMI

Le critiche nei confronti del FMI hanno trovato un ulteriore argomento quando nel 2001 l'Argentina (Paese che i tecnici del FMI consideravano "l'allievo modello") è andata incontro ad una terribile crisi economica. Il FMI è stato accusato di avervi contribuito 
con le sue indicazioni o quantomeno di non aver fatto nulla per impedirla.
Stiglitz ha rivestito ruoli rilevanti nella politica economica. Ha lavorato nell'amministrazione Clinton come Presidente dei consiglieri economici (1995 –1997); alla Banca Mondiale ha assunto la posizione di Senior Vice President e Chief Economist (1997 – 2000), prima di essere costretto alle dimissioni dal Segretario del Tesoro Lawrence Summers. 
Stiglitz esprime il suo disappunto per la politica del FMI nel suo libro intitolato "Globalization and Its Discontents" ("La globalizzazione e i suoi oppositori"), dove analizza gli errori del FMI e della gestione delle crisi finanziarie che si sono susseguite negli anni novanta, dalla Russia ai paesi del sud est asiatico all'Argentina. Stiglitz illustra come la risposta del FMI a queste situazioni di crisi sia stata sempre la stessa, basandosi sulla riduzione delle spese dello Stato, una politica monetaria deflazionista e l'apertura dei mercati locali agli investimenti esteri. Tali scelte politiche venivano di fatto imposte ai paesi in crisi ma non rispondevano alle esigenze delle singole economie, e si rivelavano inefficaci o addirittura di ostacolo per il superamento delle crisi.
Stiglitz critica il FMI su diversi punti. 
Analizzando la crisi dell’Est asiatico, Stiglitz ricorda che il 2 luglio 1997 crollò il baht tailandese che segnò l’inizio della più grande crisi economica dai tempi della Grande depressione, una crisi che partendo dall’Asia sarebbe andata a colpire anche Russia e America Latina. 
Il baht, che per dieci anni era stato scambiato con un rapporto di 25:1 rispetto al dollaro, dalla sera alla mattina subì una svalutazione di circa il 25 per cento.
Nei tre decenni precedenti alla crisi, l’Est asiatico non era soltanto cresciuto più velocemente di qualsiasi altra regione del mondo, più o meno sviluppata, riuscendo addirittura a ridurre la povertà, ma aveva anche acquisto stabilità e si era salvato dagli alti e bassi che caratterizzavano tutte le economie di mercato. 
Tanto che quei risultati positivi vennero descritti come “il miracolo asiatico”. 
Quando scoppiò la crisi però il FMI e il Tesoro degli Stati Uniti fecero aspre critiche contro questi paesi, incolpandoli di avere dei governi corrotti e urgeva una riforma radicale. 
Stiglitz però si interroga: “come è possibile che le istituzioni di questi paesi abbiano funzionato così bene per tanto tempo se sono marce e corrotte?”. La risposta si evinse chiaramente dalla relazione intitolata “The East Asian Miracle” realizzata dalla Banca Mondiale su pressione dei giapponesi: quei paesi asiatici avevano avuto successo non solo malgrado il fatto di non aver seguito il diktat del Washington Consensus, ma proprio perché non li avevano seguiti; fu così evidenziato l’importante ruolo svolto dai governi.
Mentre le politiche del Washington Consensus mettevano in risalto la privatizzazione, i governi asiatici a livello nazionale e locale davano contributi per la creazione di imprese efficienti che hanno svolto un ruolo decisivo nel successo di alcuni di questi paesi.
Quando cominciò la crisi, l’Occidente non ne colse la gravità. 
Il FMI per risolvere la crisi impose un’impennata dei tassi d’interesse e tagli alle spese, nonché di introdurre nei paesi cambiamenti sia economici che politici. 
Il FMI stava fornendo miliardi di dollari a questi paesi, ma a condizioni di così ampia portata che i paesi che accettavano i finanziamenti finivano per rinunciare a gran parte della loro sovranità economica.
Nonostante ciò, i programmi del FMI sono falliti: avrebbero dovuto arrestare la caduta dei tassi di interesse, che invece si sono mantenuti in discesa, senza che il mercato abbia minimamente dimostrato di aver preso atto che fosse arrivato il FMI a “salvare la situazione”.
Imbarazzato dal fallimento della sua ricetta il FMI ha puntualmente incolpato il paese di turno di non aver attuato sul serio le riforme necessarie. 
Con l’aggravarsi della crisi aumentò la disoccupazione: la percentuale di disoccupati era quadruplicata in Corea, triplicata in Thailandia e decuplicata in Indonesia. 
Il rallentamento nella regione ha avuto ripercussioni globali: la crescita economica complessiva fu rallentata e, con questo rallentamento, sono crollati i prezzi delle materie prime.
Secondo Stiglitz, a generare le crisi economiche dall’Est asiatico all’America Latina, dalla Russia all’India, ritiene che la colpa vada imputata alla liberalizzazione dei movimenti di capitali. Secondo Stiglitz essa può creare rischi enormi persino in quei paesi che hanno banche forti, borse valori mature e altre istituzioni che molti di quei paesi in crisi non possedevano. 

Nonostante egli esempi del passato, il FMI ripropone la sua ricetta di liberalizzazione dei capitali, nella bizzarra ipotesi che questa migliorerebbe la stabilità economica attraverso una maggior diversificazione delle fonti di finanziamento. Basterebbe però analizzare i dati relativi ai flussi di capitali per rendersi conto che essi hanno un andamento prociclico, cioè defluiscono da un determinato paese in tempi di recessione, proprio quando il paese ne ha più bisogno, e affluiscono verso il paese nel periodi di rapida espansione, esasperando le pressioni inflazionistiche. 
Analizziamo due casi: la Corea del Sud dove è intervenuto il FMI e la Cina che scelse di non seguire le politiche del Fondo.
1. In Corea il FMI, nonostante conoscesse l’eccessivo indebitamento delle aziende, insistette che fossero aumentati i tassi di interesse e ciò aumentò il numero delle aziende in crisi e, di conseguenza, il numero delle banche che si trovarono a gestire “crediti in sofferenza”. 
In pratica il FMI era riuscito a congegnare una contrazione simultanea tanto della domanda quanto dell’offerta. 
Il FMI si giustificava dicendo che le sue politiche avrebbero aiutato a riportare la fiducia nei mercati dei paesi colpiti. Ma chiaramente un paese in piena recessione non ispira alcuna fiducia.
2. Confrontando quello che è successo in Cina invece, che come la Malesia scelse di non seguire i programmi del FMI, vediamo chiaramente gli effetti negativi delle politiche del FMI. 
La Cina, del resto come l’India, fu uno dei grani paesi in via di sviluppo che è riuscita ad evitare la devastazione della crisi economica mondiale introducendo dei controlli sui movimenti dei capitali.
Mentre i paesi in via di sviluppo con mercati dei capitali liberalizzati hanno registrato un declino dei redditi, l’India è cresciuta di oltre il 5% e la Cina quasi dell’8%. Questi risultati notevoli sono stati seguiti non certo seguendo le ricette del FMI, bensì quelle dell’ortodossia economica che gli economisti insegnano da più di mezzo secolo. La Cina ha colto l’occasione di associare ai suoi obiettivi a breve termine quelli di una crescita di lungo periodo, stimolando una domanda enorme di infrastrutture. 

Conn Hallinan è analista in politica estera al Foreign Policy, ed insegnante di giornalismo all’Università della California a Santa Cruz. Hallinan scrive che l’ultima vittima in ordine di tempo del FMI sia stata appunto l’Argentina: la terza economia, per importanza, dell'America Latina è stata fatta deragliare dalle politiche del Fondo Monetario Internazionale che hanno già devastato popolazioni ed economie da Mosca a JaKarta riempiendo al contempo i forzieri delle banche e delle organizzazioni finanziarie.
Secondo Hallinan il mito più diffuso riguardo al FMI è che si tratti di un organismo “internazionale". Infatti, ha molti membri ma gli Stati Uniti ed i suoi alleati prendono tutte le decisioni. L'Olanda, ad esempio, ha più potere di voto della Cina e dell'India. 
"Internazionale" sarebbe quindi una comoda finzione che permette all'organizzazione di evitare il controllo del Congresso. Quello che il FMI fa è di fare un'offerta che non è possibile rifiutare.   
Quando L’Argentina attraversò un periodo economico burrascoso all’inizio degli anni ’90, il Presidente Bush (senior) e il Fondo offrirono un prestito condizionato all’ancoraggio del Peso Argentino al Dollaro, alla totale privatizzazione di banche e servizi, alla rimozione di dazi doganali ed alla liberalizzazione della circolazione dei capitali.
L’Argentina ha abboccato e i capitali stranieri sono affluiti. Per alcuni (i benestanti) l’economia decollò, ma legare il peso al dollaro ha reso le esportazioni argentine proibitive mentre l’inondazione di importazioni estere a basso costo ha minato la base industriale del paese: chiusura di fabbriche, diffusione della disoccupazione ed implosione del debito. La libera circolazione dei capitali ha permesso a compagnie straniere di spillare profitti all’estero ed ha aperto le porte ai “vulture funds”, che hanno acquistato gran parte del debito per fare il colpo grosso con gli elevati tassi d’interesse. 
L'Argentina era guardata dal mondo come il paese dove il pensiero unico del F.M.I. e della Banca Mondiale aveva vinto. Un miracolo economico. Ma le privatizzazioni prima o poi finiscono, lo squilibrio commerciale resta, lo Stato deve drenare denaro sui mercati internazionali attraverso prestiti internazionali in valuta, ad ogni giro i tassi salgono e il rating diminuisce. I tassi alti scoraggiano l'economia e per tre anni l'Argentina va in recessione. 
Le Grandi Famiglie (3% della popolazione) incominciano a cambiare i pesos in dollari. Servono altri prestiti, sempre più cari.
A questo punto scoppia la crisi finanziaria. 
Nessuno presta più soldi all'Argentina che è costretta a tagliare del 13% i salari pubblici e a bloccare totalmente la spesa pubblica. Neanche questo basta, ed ecco l'F.M.I., caritatevole, giungere in soccorso, prestando 8 miliardi di dollari. Con una clausola, però, che l'Argentina aderisca al F.T.A.A. (Free Trade Area of the Americas) cioè si apra al libero scambio con gli USA.
Doppia trappola: il deflusso di dollari non potrà che aumentare, per il libero scambio e in più si mette in ginocchio il Brasile e si fa saltare il Mercosur (il Mercato dell'America del sud). 
La crisi finanziaria argentina è solo rimandata di qualche mese: una boccata d'ossigeno per l'UBS, Citygroup e Chase Manhattan e altre grandi banche che hanno ancora qualche mese per “securizzare” i propri crediti, cioè farli scomparire nel risparmio gestito di fondi pensione. 
Quando la stessa cosa avvenne in Messico nel 1995 a rimetterci fu il Fondo Pensione degli Insegnanti della California. Ma ormai è fin troppo chiaro: le ricette virtuose del FMI sono catastrofiche. 
Il crac in Argentina non può essere imputato semplicemente alla corruzione nazionale ma al sistema “politico” del FMI che, invece di sostenere una partecipazione vera nello sviluppo della nazione, ha introdotto meccanismi monetaristici che hanno portato alla rovina economica il paese. 

Tra Paesi che soccombono in crisi finanziarie, c’è invece un paese che si libera dal debito nei confronti del FMI e Banca Mondiale, ovvero il Venezuela del Presidente Hugo Chàvez
Il paese sudamericano ha estinto il debito con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale e adesso nutre come secondo obiettivo la costituzione del Banco del Sur. 
Il Venezuela ha recuperato interamente la sua sovranità; le sue orme potrebbero essere seguite da tanti altri paesi sudamericani od europei. Naturalmente tutto dipende se al tavolo delle trattative si indossi la veste del finanziatore pro-lobby o del debitore. 

Massimiliano Melilli: «Professore, il potere della "sacra Trinità" – Fondo monetario internazionale, Banca Mondiale e Organizzazione mondiale del commercio (WTO) – fonda la sua egemonia su politiche economiche esclusiviste. Quali strumenti possiedono i Paesi del Sud del mondo per ottenere finalmente riconoscimento e legittimazione?»
Amartya Sen: «Non vi è dubbio che queste istituzioni siano ormai da cambiare. Per più motivi e perché rappresentano, seppure con pesi diversi, lo stesso potere. L'architettura economica mondiale va riformata in tempi brevi, con equità e giustizia. L'attuale situazione è preoccupante ma lascia anche ben sperare per il futuro. Da un lato, Fondo monetario internazionale e Organizzazione mondiale per il commercio poggiano la loro attività, a più livelli, sulla posizione del Paese più forte, gli Stati Uniti. Dall'altro, noto che, nonostante la ferrea architettura che governa l'economia globale, la Banca Mondiale, gradualmente, sta passando da posizioni rigide a posizioni meno rigide. Noto un atteggiamento mutato, d'attenzione, rispetto a tutti i temi messi in campo dai movimenti new-global. È un segnale importante, da non sottovalutare, anche nell'ottica dei Paesi del Sud del mondo. 
Nel suo libro Anno 501 la conquista continua, Noam Chomsky critica aspramente il FMI con argomenti simili a quelli di Stiglitz, riportiamo qui a titolo di esempio un passo del libro: 
«Secondo questo schema, la costruzione di un nuovo sistema mondiale è coordinata dal gruppo dei 7 [paesi più industrializzati], dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca Mondiale e dal "Gatt" (General Agreement on Tariffs and Trade), da ricordare anche la valutazione della Banca Mondiale secondo la quale il 31% delle esportazioni manifatturiere del Sud sono soggette a barriere non tariffarie contro il 18% di quelle del Nord, o la relazione del 1992 dello Human Development Program dell'Onu, che riesamina il divario crescente tra ricchi e poveri (attualmente, l'83% della ricchezza mondiale è nelle mani del miliardo di uomini più benestante, mentre il miliardo dei più indigenti, alla base della scala, ne possiede solamente l'1,4%); il raddoppio di tale divario dal 1960 è attribuito alle direttive del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale, ed al fatto che ben 20 su 24 paesi industrializzati sono più protezionisti oggi di quanto lo fossero un decennio fa, compresi gli Usa che celebrarono la rivoluzione reaganiana raddoppiando in proporzione il numero dei prodotti importati sottoposti a misure restrittive.»
Sempre nello stesso libro Chomsky riporta la seguente osservazione fatta dall'Economist: «Il risultato finale di decenni di prestiti per lo sviluppo è che i paesi poveri hanno recentemente trasferito più di 21 miliardi di dollari all'anno nei forzieri dei ricchi - osserva l' Economist riassumendo questo triste scenario.»
Paolo Barnard: «L'accusa è che il Fondo monetario internazionale sia uno strumento nelle mani dei suoi membri più forti, in particolare di uno, gli Stati Uniti d'America.»
Anthony Boote del Fondo monetario internazionale, Washington: «Il Fondo monetario internazionale rappresenta tutte le nazioni-membro, non solo i governi occidentali. Inoltre è assurdo attribuire a noi i malanni di paesi che erano poveri ben prima della crisi del debito. 
All'opposto il gruppo dei governi ricchi del Fondo monetario ha ridotto il debito delle nazioni più povere proprio per non strangolarne le economie.»
Paolo Barnard: «Ci risulta invece che dall''85 a oggi il loro debito sia raddoppiato e si dice che vi abbiano già restituito nove dollari per ogni dollaro preso in prestito.»
Anthony Boot: «Storicamente questo è falso. La realtà è che le nazioni più povere hanno ricevuto tre o quattro volte di più in crediti di quanto non abbiano mai restituito ai paesi occidentali. Non dovete confondere il debito originario con il debito che è stato ripagato. 
Quest'ultimo è solo una piccola parte del totale e, lo ripeto, noi al Fondo monetario facciamo di tutto per aiutarli.»Il Fondo Monetario Internazionale (International Monetary Fund o FMI) è, insieme al Gruppo della Banca Mondiale, una delle organizzazioni internazionali dette di Bretton Woods, dalla sede della Conferenza che ne sancì la creazione.

Nessun commento:

Posta un commento