domenica 15 giugno 2014

Signoraggio e nuovo ordine mondiale (I° parte): il Signoraggio nel passato


Signoraggio è un termine che deriva dal francese "seigneur", che in italiano significa "signore". 
Nel Medio Evo infatti erano i signori feudali i titolari del diritto di battere moneta e i beneficiari del guadagno che ne derivava. 
Nell'antichità, quando la base monetaria consisteva di monete in metallo prezioso, chiunque disponesse di metallo prezioso poteva portarlo presso la zecca di stato, dove veniva trasformato in monete con l'effigie del sovrano. I diritti spettanti alla zecca e al sovrano erano esatti trattenendo una parte del metallo prezioso. Il signoraggio in tale contesto è dunque l'imposta sulla coniazione, noto anche come diritto di zecca. Il valore nominale della moneta e il valore intrinseco delle monete non coincidevano, a causa del signoraggio e dei costi di produzione  delle monete.
L'imposta sulla coniazione poi serviva a finanziare la spesa pubblica. Nel caso in cui lo stato possedesse miniere di metallo prezioso, il signoraggio coincideva con la differenza tra il valore nominale delle monete coniate e i costi per estrarre il metallo prezioso e coniare le monete. 
Già con i romani, da Settimio Severo si può parlare di signoraggio: questo imperatore dimezzò la quantità di metallo prezioso contenuto nelle monete, mentre lasciò invariato il valore nominale.

Ma le vere origini del signoraggio risalgono al 27 luglio 1694, quando il massone e banchiere londinese William Paterson fonda con alcuni fratelli la prima banca centrale al mondo: la Old Lady of Threadneedle Street, meglio conosciuta come Banca d'Inghilterra.
Non si tratta della prima banca in assoluto, perché già nel 1163 a Venezia esisteva un Monte fruttifero privato creato per favorire il commercio, per non parlare del Banco (o Casa) di San Giorgio del 1407 a Genova, vera e prima banca pubblica d'Europa.
La Banca d'Inghilterra è invece la prima Banca Centrale al mondo; la prima che stampò 1.200.000 sterline («notes of bank»), corrispondenti al debito di 700.000 sterline-oro che il Re Guglielmo d'Orange aveva contratto proprio con essa. In pratica ha iniziato l'attività comprando il debito della Corona.
Proprio inerente alla Banca d’Inghilterra possiamo citare un passo di un famoso critico dell’economia politica, Karl Marx, che nel 1885 scriveva, nella sua opera Il Capitale, a proposito di questa banca centrale:
“Fin dalla nascita le grandi banche agghindate di denominazioni nazionali non sono state che società di speculatori privati che si affiancavano ai governi e, grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipar loro denaro. Quindi l’accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche, il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della Banca d’Inghilterra (1694)"
La Banca d’Inghilterra cominciò col prestare il suo denaro al governo all’otto per cento; contemporaneamente era autorizzata dal parlamento a batter moneta con lo stesso capitale, tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in forma di banconote. 
Con queste banconote essa poteva scontare cambiali, concedere anticipi su merci e acquistare metalli nobili.
Non ci volle molto tempo perché questa moneta di credito fabbricata dalla Banca d’Inghilterra stessa diventasse la moneta con cui la Banca faceva prestiti allo Stato e pagava per conto dello Stato gli interessi del debito pubblico. Non bastava però che la Banca desse con una mano per aver restituito di più con l’altra, ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all’ultimo centesimo che aveva dato. 
A poco a poco essa divenne inevitabilmente il serbatoio dei tesori metallici del paese e il centro di gravitazione di tutto il credito commerciale. 
In Inghilterra, proprio mentre si smetteva di bruciare le streghe, si cominciò a impiccare i falsificatori di banconote. Gli scritti di quell’epoca, per esempio quelli del Bolingbroke, dimostrano che effetto facesse sui contemporanei l’improvviso emergere di quella genìa di bancocrati, finanzieri, rentiers, mediatori, agenti di cambio e lupi di Borsa.
La banca di Paterson si trovava quindi, oltre ad essere proprietaria di un capitale sul quale percepiva gli interessi, a disporre di una massa monetaria fittizia non corrispondente a nessuna ricchezza reale, con la quale intraprendere fruttuose operazioni finanziarie o concedere prestiti sui quali percepire altri interessi.
Per il governo inglese, che rinuncia a battere cartamoneta in proprio, comincia così la lunga e mai terminata sequela di interessi da versare alla banca, e per l'economia inglese è consentita la circolazione di denaro inventato, col quale illegittimamente si promuovono speculazioni finanziarie. 

L'esempio inglese, nei secoli successivi, è seguito da tutti i governi del mondo, fino alla situazione attuale, in cui nessun popolo è proprietario della moneta che utilizza, e dove tutti sono debitori delle banche private che battono moneta. 
Le banche, nel momento stesso della loro nascita, iniziano a creare moneta fittizia culminante con l'immensa massa di denaro virtuale oggi circolante nel mondo, dando vita a una colossale truffa ai danni dei popoli.
Emblematica è anche una frase detta nel 1773 da Amschel Mayer Rothschild, massimo finanziere tedesco, il quale dichiarava:
 “La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo Conferenze di Pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa avere benefici. Le guerre devono essere dirette in modo tale che entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre più nel loro debito e quindi, sempre di più sotto il nostro potere”.
Ancora è possibile citare Maurice Allais, Premio Nobel per l’economia nel 1988 per i suoi contributi determinanti per la teoria dei mercati e l'utilizzo efficiente delle risorse, che disse: “L'attuale creazione di denaro operata ex nihilo dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari. In concreto, i risultati sono gli stessi. La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto".

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