martedì 1 luglio 2014

La privatizzazione delle sementi: il caso Graines Baumaux - Kokopelli


La Corte di Giustizia Ue ha dichiarato, nell'estate del 2012, illegale la vendita di semi tradizionali, non iscritti nel catalogo ufficiale europeo.


Il caso Graines Baumaux - Kokopelli

Il caso nasce in risposta a una denuncia che l’azienda francese di sementi Graines Baumaux Sas aveva presentato contro la Kokopelli, Ong transalpina che vende sementi di varietà antiche. Tra di esse il seme Kokopelli 461, una varietà non ammessa dalla direttiva Ue in vigore dal 1998. Prima il ricorso ai tribunali francesi. Vittoria in primo grado per la Graines. 

La Graines Baumaux decide nel 2005 di denunciare Kokopelli per richiedere 50.000 € di risarcimento per concorrenza sleale, oltre alla cessazione delle attività di promozione della vendita di sementi antiche proposte dall'associazione. Il tribunale di Nancy dette nel 2008 ragione alla Graines Baumaux, considerando concorrenza sleale quella di Kokopelli in quanto venivano messe in vendita dall'associazione sementi di varietà non iscritte nel registro europeo e in quello francese.  
Kokopelli decise di impugnare la sentenza sottoponendo alla Corte Europea la questione, in particolar modo sollevando il dubbio che le norme relative alla registrazione delle varietà orticole in un registro europeo vadano a ledere i diritti di del libero esercizio dell’attività economica, di proporzionalità, di parità di trattamento o di non discriminazione e della libera circolazione delle merci.
Nello scorso gennaio l'Avvocato Generale  della Corte Europea decise di dare ragione a Kokopelli, annullando il verdetto del tribunale di Nancy; ma il 12 luglio 2012 la Corte di Giustiza Europea decide di ribaltare ancora una volta la sentenza, negando le ipotesi di Kokopelli e di fatto dissociandosi dalle affermazioni del proprio Avvocato Generale.

Per capire al meglio la sentenza, bisogna sapere che da molti anni oramai è stato reso obbligatoria la registrazione delle sementi di varietà orticole presso un apposito registro europeo. La registrazione costa tempo (l'iter dura molti anni) e denaro (svariate migliaia di euro), e richiede che le varietà registrate soddisfino a precisi criteri di stabilità, distinzione e omogeneità. Esisterebbe però una deroga prevista dalla direttiva 2009/145/CE che lascerebbe maggiori libertà per la vendita ed il commercio di sementi di varietà arcaiche, ma di fatto essa viene disattesa in quanto le condizioni di iscrizione al registro delle varietà arcaiche non differiscono così tanto da quelle del registro normale da permettere di iscrivervi la maggior parte delle vecchie varietà! Inoltre altre deroghe sono invece valide solo all'interno di certi territori ben precisi, da cui originano le varietà considerate in esse, e non valgono perciò in via generale. Per capirci: se dovesse essere riconosciuto come tipico della regione Tizia l'antica varietà di pomodoro caioesempronio, potrebbe esser sì legale scambiare e vendere semi di tale varietà, ma solo nella regione Tizia in questione.

Per la Kokopelli si profila a questo punto una condanna a 100 mila euro per danni e l’obbligo di cessare tutte le attività di vendita.


Le reazioni alle sentenza e le prospettive future del settore 

In Italia, plaude alla decisione l’Assosementi, che riunisce l’industria sementaria. 
Esterrefatti e preoccupati invece quanti sostengono l’utilità di preservare le varietà tradizionali e di non consegnare il mercato delle sementi alle sole multinazionali. 
«La scelta del catalogo delle sementi è senza senso» attacca Pietro Sandali, capo dell’area economica di Coldiretti. «Si vieta agli agricoltori di vendere tra loro le sementi e si infligge un colpo mortale alle varietà tradizionali, condannandole all’estinzione e privando l’umanità di un importante patrimonio di biodiversità. 
In più di fatto si blocca la ricerca sulla genomica che, analizzando le varietà tradizionali, può permettere di scoprire vantaggi per i coltivatori e per i consumatori. È invece necessario un albo delle sementi tradizionali autoctone».
Sulla stessa linea, Slow Food, che vede messi a rischio gli sforzi profusi per la tutela di molti presidi cerealicoli. «Iscrivere le sementi tradizionali nel registro – spiega Cinzia Scaffidi, direttrice del Centro Studi – è complesso sia per motivi legati al costo della registrazione sia perché difficilmente rispettano il requisito della uniformità. Quel registro è, infatti, stato creato per le sementi “pure” selezionate dalle multinazionali». Una norma ad aziendas, verrebbe da dire.
Ironica la reazione della Kokopelli: «Perché non esiste un registro ufficiale dei bulloni e delle viti? Forse perché manca una Monsanto della minuteria metallica?».

Chi ci perde da questa situazione sono le vecchie varietà, selezionate per essere non tanto omogenee e perfette esteticamente, ma buone e gustose, oltre che resistenti in maniera naturale a molte avversità. Le loro caratteristiche rendono spesso difficile che esse rientrino nei criteri di omogeneità e stabilità che sono invece richieste. per quelle tra le vecchie cultivar che potrebbero rientrare nei registri, il problema è un'altro ancora. le vecchie varietà non possono essere brevettate in quanto patrimonio dell'umanità. 
Chi guadagna da questa situazione sono senza dubbio le sette grandi multinazionali del settore sementiero, che detengono la quasi totalità del mercato e che così possono commercializzare senza nessun tipo di rivale le sementi ibride di cui detengono i brevetti. Già, perché al contrario delle vecchie varietà, gli ibridi sono brevettabili e offrono imbattibili garanzie di stabilità ed omogeneità: non a caso il registro prevede non non tanto che le varietà in esso incluse si riproducano dando vita a prole ad essa simile, ma che tutti gli organismi derivati da un medesimo processo siano omogenei e simili: ovverosia, che tutti gli ibridi ad esempio tra due varietà di pomodoro siano uniformi. Si capisce bene come questa norma favorisca solo ed esattamente chi detiene i brevetti di tali incroci.

Ma la cosa più sconcertante è alla fine la motivazione che la Corte di Giustizia Europea da della fondamentale importanza dei registri e del commercio unicamente delle varietà in essi contenuti: impedire la vendita e la coltivazione di sementi potenzialmente nocive o che non consentano una produzione agricola ottimale, caratterizzata dal massimo profitto
Viene gentilmente detto, in pratica, che tutto ciò che sono e rappresentano le antiche varietà orticole può essere nocivo perché non sufficientemente produttivo. Sarebbe stato più onesto aggiungere: produttivo per le lobby sementiere. Già, perché le vecchie varietà open pollinated, ad impollinazione libera, avevano questa caratteristica meravigliosa: davano al contadino la chance di riseminarle, anno dopo anno, senza dover acquistare più le sementi. E così, anno dopo anno, i contadini potevano selezionare piante eccezionali, piene di gusto, profumo, bellezza, storia, vita. Erano le piante della loro vita, e le trasmettevano ai loro figli ed eredi. erano le piante che hanno sfamato l'Europa, sì, persino i genitori ed i nonni di coloro che hanno firmato questo scempio. 
Oggi invece tramite i nuovi, produttivissimi ibridi, perfetti e uguali, il contadino viene espropriato di un suo fondamentale diritto: quello di conservare e tramandare i propri semi. 


Come invertire la rotta

Ragazzi: cercate i semi dei vostri nonni e coltivate gli ecotipi della vostra regione
Adottate una vecchia varietà orticola! Contattate le associazioni di Seed Saversin Italia sono attivi diversi gruppi, da Gli Amici dell'Orto (a cui sono personalmente particolarmente legato) a Coltivare Condividendo, dalla Rete Semi Rurali a Civiltà Contadina
Provate anche con le associazioni di coltivatori biologici (come l'A.Ve. Pro.Bi. in Veneto) e gli Istituti Agrari che possono fornire sementi di antiche varietà cerealicole. Coltivate, condividete, seminate biodiversità. 
Perché i semi che abbiamo ricevuto dal passato, dai nostri nonni, non sono per noi, ma per i nostri figli.

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